Altro che trucchetti da cabaret: Aristofane. Questi Incauti sanno decisamente il fatto loro
La Voce di Romagna, 10 ottobre 2008, di Paolo Turroni
CESENATICO – “Tale poeta io sono: e non mi gonfio; né cerco d’infinocchiarvi, con l’ammannire due, tre volte la stessa roba: mi stillo il comprendonio per trovare idee nuove, non del solito conio, tutte quante ingegnose”
Così Aristofane, nel 423 a.C. si rivolgeva agli spettatori di Atene, rivendicando le caratteristiche di un’arte del tutto originale, che rifiutava di copiare dagli antichi, né utilizzava, per muovere al riso il pubblico, stratagemmi vecchi e consunti (e molto simili ai più biechi trucchi del più banale cabaret di oggi, cosa che indubbiamente deve fare riflettere), ma che si proponeva d’insegnare ai suoi concittadini cose importanti, sull’arte, sul sapere, su quella polis che stava andando a ramengo per via della guerra che la vedeva opposta a Sparta. La commedia era Le nuvole, che invece non andò bene per niente, tanto che Aristofane fu costretto a riscriverla tutta, e a ripresentarla, per ottenere un migliore successo. Non era certo un’opera per tutti, che fingendo di parlare di debiti, di padri impoveriti e di figli spendaccioni trattava invece di filosofia, e di quella più all’avanguardia, dei Sofisti e delle loro pensate. Fulcro della satira di Aristofane è Socrate, il grande filosofo, il maestro di Platone, un così grande personaggio viene trasformato in un truffatore, un astuto imbroglione che vuole sovvertire la morale della città, negando persino l’esistenza degli dèi classici, come Poseidone, Era, Zeus, per sostituirli con le Nuvole, degna divinità di un mondo che ha perso di vista le vere regole della morale. Il vecchio Strepsiade, soffocato dai debiti contratti dal figlio Fidippide, vuole andare a scuola da Socrate per imparare come non pagare più i propri debiti; lui non è adatto per imparare, ma il figlio sì, ed impara così bene che sarà in grado di spiegare razionalmente perchè è buona cosa picchiare i padri. Il padre, pentito della scelta fatta, va ad incendiare il Pensatoio di Socrate con tutti i suoi discepoli dentro. Commedia difficilissima, assolutamente originale per il suo connubio di poesia, analisi filosofica, satira sociale, questo capolavoro è stato portato in scena al Teatro Comunale di Cesenatico mercoledì 8 e giovedì 9 da Gli incauti, una nuova compagnia teatrale, formata da attori provenienti soprattutto dalla scuola del Piccolo Teatro di Milano. Si è trattato di un allestimento, per la regia di Simone Toni, di grande raffinatezza formale e con una freschezza nell’interpretazione di un testo così complesso come raramente si possono vedere. Le scene (Alessandra Gabriella Baldoni) erano sintetiche ma suggestive: grandi drappi di tela, che potevano richiamare alla memoria le opere di Burri, nascondevano le casse in cui, imballati, stavano gli oggetti e le persone. Lode per il Socrate di Michele Nani, grandioso nel suo essere un Socrate-Falstaff, di grande impatto e ottima presenza sulla scena. Alcuni momenti particolarmente ben riusciti: lo scontro fra il Discorso migliore e il Discorso peggiore, interpretati da Pasquale di Filippo e Stefano Moretti, che hanno imitato Prodi e Berlusconi (un modo per attualizzare un testo senza straniarlo troppo, e anche senza cadere in una partigianeria esplicita, ma anzi con un’ironia diffusa su entrambi i personaggi), e la scena finale, con i “socratici” che se ne vanno cantando e il vecchio Strepsiade (Stefano Corsi) che si risveglia nel letto, vede accanto a sé, come al solito, il figlio Fidippide (Luca Carboni), e si mette a ridere, felice perché tutto, in realtà, è stato solo un brutto sogno. Se è vero che il sonno della ragione genera mostri, è anche vero che una ragione troppo sveglia crea mostri non meno paurosi, ci dice il poeta greco con questa favola morale di oltre duemila anni fa, che ha rivissuto sulle tavole del palcoscenico di Cesenatico.