L’anima e la carne
di Emanuela Mugliarisi (teatro.persinsala.it, 30 Marzo 2012)
Al teatro dei Filodrammatici va in scena, fino al 5 aprile, uno spettacolo quanto mai attuale: Simone Toni prende spunto dal De profundis di Oscar Wilde per riflettere sull’omosessualità e sul rapporto tra arte e morale.
Pensando a Oscar Wilde verrebbe da dire: nomen omen. Così come il grande dandy di fine Ottocento giocò sul nome di uno tra i protagonisti delle sue opere teatrali più celebri – The Importance of being Earnest, laddove il gioco di parole viene reso bene in traduzione italiana con L’importanza di chiamarsi Franco- allo stesso modo verrebbe da pensare che il suo destino fosse già scritto nel cognome, nel quale riecheggia la parola wild, ovvero“folle, coraggioso, selvaggio”.
Ma la cosa affascinante di questo spettacolo, è la volontà di mostrare un lato meno noto della vita e della personalità di Wilde: non solo l’artista trasgressivo, progressista e disinibito che tutti – bene o male – conosciamo, ma soprattutto il “dietro le quinte” di un personaggio del quale, ancora oggi, non sappiamo dire quanto fosse costruito e quanto spontaneo. In Oscar Wilde, il clown dal cuore infranto si vuole mostrare la terribile ghigliottina mediatica che visse l’artista quando, accusato di sodomia, passò dalla condizione di guru dell’arte osannato e richiesto in tutti i salotti bene d’Europa, alla condizione di clown del dolore, capro espiatorio delle contraddizioni del suo tempo – in seguito a questa infamia, Wilde passò attraverso la degradante esperienza dei lavori forzati nel carcere di Holloway, dalla quale nasce questa accorata e lunghissima lettera/capolavoro da cui prende spunto il regista.
Simone Toni è encomiabile nell’aver ispirato la sua regia a un testo poco frequentato di Wilde, il De profundis,sviscerando un aspetto più contemporaneo della cinica e ironica analisi dei rapporti umani che emerge dalle sue commedie: l’esperienza del dolore e della punizione per un amore considerato immorale. Argomento quanto mai attuale per una società (soprattutto quella italiana) che si spaccia per tollerante e progressista ma che poi si confronta, ancora troppo spesso, con casi di violenze più o meno esplicite verso gli omosessuali, continui stupori per i preti pedofili, paure ingiustificate verso il diverso in generale. La profonda riflessione di Wilde risulta un monito persino più urgente nel momento in cui dal testo emerge la speranza dell’artista per un futuro migliore, dove un amore come quello che nutrì per “Bosie” (soprannome di Lord Alfred Bruce Douglas) non sarà più fonte di scandalo e condanna sociale. E la domanda che dobbiamo porci è: “Siamo riusciti in due secoli a fare passi avanti significativi in questosenso?”.
A rendere ancora più incalzante la domanda, svincolando la vicenda rievocata dal suo contesto storico, sono il ritmo trascinante dello spettacolo e l’intelligenza dimostrata a livello scenografico e registico. Partendo da una sorta di monologo di Oscar – che inizia a leggere la lettera indirizzata al giovane amante – vediamo scorrere sulla scena, quasi come in un film, i personaggi e gli eventi rievocati in quel momento (per questo motivo il testo teatrale si ispira anche a passaggi di altre opere di Wilde, quali Il ritratto di Dorian Gray e La Salomè). La messinscena rappresenta in maniera geniale l’ambiente della cella (con pochi elementi iconici e un intelligente gioco di luci), ma si trasforma velocemente nella sala d’udienza dove Wilde fu processato per sodomia. È questo, del resto, uno dei momenti fondamentali dello spettacolo perché, attraverso le domande incalzanti dell’accusa e le sagaci risposte del poeta, si propone al pubblico un secondo tema di dibattito, quanto mai attuale: è possibile valutare l’estetica di un lavoro letterario – o artistico – a prescindere dalla morale che esprime? La condanna giunse proprio per il timore di ammettere una verità “pericolosa”, che Wilde regalò al suo tempo. Una verità tanto preziosa quanto dannosa per la morale ipocrita dell’epoca vittoriana – e forse tutt’oggi non priva di conseguenze importanti: “il dato estetico non può passare sotto il vaglio della morale e dell’etica; tutto ciò che procura piacere estetico non può essere immorale”.
Accanto al protagonista, interpretato da un ottimo Fausto Cabra, vanno notate le valide prove attorali di Andrea Luini e Stefano Moretti, rispettivamente nei panni di Bosie e dell’amico più fidato dello scrittore e drammaturgo, che tentò di dissuaderlo dal prolungare la sua “malsana” relazione.
Uno spettacolo da consigliare a tutti – giovani, adulti, progressisti e conservatori: sarà fecondo spunto di riflessione, qualsiasi sia l’orientamento del vostro pensiero.